PRIMO GIORNO
Le prime luci del mattino di questo lunedi di fine Aprile annunciano un cielo completamente sereno: ottimo!
Il Diretto delle 6.22 corre veloce, bucando le colline che separano il Valdarno dalla piana fiorentina.
Da qualche tempo, ormai, lo prendo regolarmente per andare al lavoro ma stamani la ragione è del tutto diversa.
Soddisfazione, impazienza, curiosità e un pizzico di timore sono i primi sentimenti che riesco a decifrare, mescolati e turbinanti come sono tutti insieme, a darmi un po' l’effetto delle farfalle nello stomaco.
Ripasso a mente per l’ennesima volta il contenuto dello zaino, guardo nervoso l’orologio, come se non sapessi che mancano ancora più di 10 minuti alla Stazione di Santa Maria Novella e infine rivedo ancora come in un Super8 le immagini del percorso, quasi ogni singolo passo, ogni singola svolta, ogni singola veduta di questa mia “creatura” a lungo voluta, a lungo attesa.
Già, perché io questo percorso in realtà l’ho già fatto tutto: progettato, tracciato, …camminato!
Un po' alla volta, però: è questa la grande differenza!
Così è stato: una tappa 20 giorni fa, … un’altra ormai due mesi addietro, …
Oggi no, oggi è diverso, perché il lavoro portato avanti per mesi, nei ritagli di tempo, oggi è concluso, oggi è diventato “IL” cammino, il “MIO” Cammino, prima che possa diventare quello di (spero) molti altri.
Non più GPS, quindi, non più cartine alla mano, non più dubbi, ripensamenti, correzioni, aggiustamenti: oggi sono un escursionista, punto e basta.
Un escursionista che sta per percorrere come se fosse per la prima volta l’intero Cammino tra Firenze e Arezzo, il Cammino del Giglio e la Chimera!
6.55: con qualche minuto di ritardo (come al solito!) il treno si ferma al suo binario; esco da una Stazione già affollata di studenti e pendolari e mi incammino così verso il punto ufficiale della partenza, al centro di Piazza della Signoria.
Sotto un giubbino che mi ripara dall’umidità mattutina, sfoggio con un certo orgoglio la T-shirt arancio fluo in tessuto tecnico comprata per l’occasione e su cui, più che altro, appare ben evidente sul petto il logo che ho ideato per questo Cammino e che ho fatto stampare.
Mi attardo a guardare qualche vetrina, faccio zig-zag tra le viuzze interne e, negli sguardi di coloro che incrocio per la strada o dentro al bar dove mi fermo per un caffè, cerco di cogliere almeno un guizzo, un accenno di curiosità per il mio abbigliamento, per il grande zaino che indosso o per i bastoncini da passeggio, ma nessuno si cura di me, non potrebbe essere altrimenti, e così sorrido della mia ingenuità: non è ancora il luogo e il momento degli incontri, di quegli incontri con cui voglio arricchire la mia esperienza e il mio racconto affinchè il Cammino possa comunicarmi la sua essenza, la sua anima.
Piazza della Signoria, ore 7.30: i furgoncini vanno e vengono per scaricare le loro merci, passa la macchina spazzatrice, si ferma una pattuglia della Municipale; chiudo gli occhi, inspiro profondamente, soffio fuori il fiato, mando avanti il piede destro, …compio il primo passo!
Sono partito!
Dati alla mano, oggi mi aspettano circa 22 Km per cui di tempo ne ho, non vale la pena mettersi fretta: Piazza del Duomo che non smette mai di rapirmi, Piazza San Marco e la Santissima Annunziata che in qualche modo annunciano già la fine del nucleo storico della città, i ragazzi che si avviano svogliati all’ingresso delle loro scuole, ancora troppo traffico, rumore, fastidio.
Ma so bene che sarà per poco e già sulla passerella ferroviaria di Campo di Marte, quando lo sguardo può portarsi lontano fino a scorgere Fiesole, quel traffico inizia a sembrare una cosa remota.
Eccoci, la città è finita come all’improvviso e quei pochi scalini che mi immettono sulla solitaria Via Barbacane rappresentano il primo dislivello “ufficiale” che dovrò superare.
Via Barbacane: gli antichi muri in pietra proteggono la privacy delle prime ville patrizie ma ampie aperture, di quando in quando, anticipano già la storica ed elegante altura sui cui sorge Fiesole e che si disvela nella sua interezza una volta raggiunto San Domenico.
Da qui, arrivare in Piazza Mino è cosa veloce, se non fosse per la ripida salita che mi attende.
Un paio di zaini a terra accanto ad una panchina sono un richiamo irresistibile.
Mi siedo e di lì a poco, infatti, ecco arrivare i rispettivi proprietari: sono due ragazzi di Milano che inevitabilmente mi chiedono se anche io sto concludendo come loro la Via degli Dei.
Eccoci, in fondo era proprio quello che volevo!
Con il petto gonfio di un orgoglio che mi sforzo di mascherare, per la prima volta posso raccontare che no, non sono al termine della Via degli Dei ma che sono “nientepopodimenoche” l’autore di un nuovo Cammino e che lo sto collaudando proprio adesso, in prima assoluta!
La loro curiosità si accende; mi riempiono di domande, mi danno modo di sciorinare nomi, dati e dettagli, mi consentono di tessere le lodi di questo nuovo tracciato e alla fine ci salutiamo con la promessa – da parte loro – che il prossimo anno seguiranno certamente le mie orme.
Chissà se lo faranno davvero ma per il momento sono già contento così!
Lascio scorrere verso l’anfiteatro romano un paio di comitive di asiatici con le loro guide ed io abbandono la Piazza per arrampicarmi verso il Monte Ceceri, ripassando a memoria quanto ho scritto nella guida a proposito del (presunto) esperimento di volo compiuto da Leonardo, i cui tratti somatici si ricompongono nel mio cervello esattamente uguali a quelli visti e rivisti in “Non ci resta che piangere”.
Incrocio ancora qualche camminatore in arrivo da Bologna a Firenze e con cui un fugace “Ciao” è anche un segno di intesa, di condivisione ma poi, superata la modesta vetta del Monte Ceceri, le strade si dividono definitivamente, e mi ritrovo solo, in questo giorno feriale, a battere i sentieri del versante in discesa.
Maiano, Vincigliata e poi Settignano dove ho programmato di fermarmi per il pranzo.
Un’oretta di pausa, giusto il tempo per mangiare un panino, bermi una rinfrescante birretta (si sa, recuperare sali minerali è importante!...) e poi “ciondolare un po' in Piazza Desiderio, dove potrò affacciarmi per l’ultima volta sulla città prima di lasciarmela definitivamente alle spalle.
La temperatura è perfetta, le ore di luce a disposizione ancora molte, ma ho voglia di ripartire sapendo che, prima di giungere a destinazione, mi aspetta un ultimo tratto a cui mi sono già particolarmente affezionato.
Superata la Chiesa di Ontignano, si entra infatti in un piccolo mondo a parte, la Valle del Sambre.
L’etimologia sembra richiamarsi alla lingua etrusca, in particolare al culto dei morti, ed in effetti la placida immobilità della valle si attaglia perfettamente al riposo, anche a quello eterno, per niente disturbato dalle poche coloniche che punteggiano il verde intenso, colore dominante insieme all’azzurro del cielo.
Provo ancora a immaginare come dovesse essere qui quando Hermann Hesse conobbe questi luoghi e li volle immortalare nel Narciso e Boccadoro: un richiamo alla memoria, uno struggente salto indietro di 40 anni, quando frequentavo la quarta superiore ed il mio storico compagno di banco, Guido, mi consiglio la lettura de Il lupo della steppa, proprio di Hesse, la prima di numerose letture dello stesso autore.
Chissà dove sei Guido, chissà se lavori ancora in Giappone in quella grande multinazionale dell’edilizia, ma in fondo era chiaro fin da allora che a te Fiesole – dove vivevi allora – ti sarebbe stata davvero stretta!
Penso a questo mentre me ne sto seduto, con la schiena appoggiata ad un olivo e un filo d’erba tra le labbra, per ritagliarmi un momento di pace assoluta, non sopraffatta dall’istinto che mi vorrebbe in movimento, con l’orologio come punto di riferimento: calma! E ripeto… “oggi non c’è fretta, oggi non c’è fretta,…”.
Traccio un primo bilancio di questi primi chilometri cercando di vederli con gli occhi di qualcun altro e devo dire che sì, il percorso funziona, ha già dato tanto con un continuo alternarsi di ambienti, situazioni, spunti ed emozioni che lo rendono efficace anzi, meglio, appagante.
E allora chiudo gli occhi e seguo per brevi, bellissimi attimi, il cinguettio degli uccelli, il ronzio degli insetti e la carezza di un vento appena percettibile che sa proprio di primavera.
Ripreso il cammino, da qui è quasi tutta discesa da fare piano piano prima di raggiungere Compiobbi dove ha trovato ospitalità in un B&B distante poche centinaia di metri.
Qui a Compiobbi, come del resto negli altri punti tappa, ho trovato però anche un’altra ospitalità, un’accoglienza inattesa da parte di sconosciuti a cui mi sono avvicinato grazie ad un numero di telefono trovato in Internet.
“Pronto?....Buonasera, mi chiamo Giovanni Susini e sto creando un Cammino da Firenze ad Arezzo che come prima tappa si conclude proprio a Compiobbi; vorrei sapere se come Pro Loco mi potete dare una mano…”
Dall’altra parte un inconfondibile accento aretino, inaspettato alle porte di Firenze, tradisce senza possibilità di errore le origini di Francesco Cecconi, uno dei responsabili dell’Associazione..
Gli spiego che abito a Reggello e lui mi dice di avere lì dei parenti, persone che anche io conosco, e inizia così una lunga chiaccherata: io gli spiego il mio progetto, le mie necessità, e lui ascolta volentieri, rilanciando in modo inaspettato con informazioni utili e possibili soluzioni…
Ecco, dopo quella telefonata ho avuto modo di conoscere personalmente Francesco, e di parlarci in altre occasioni.
Con lui abbiamo definito piccoli dettagli di carattere tecnico legati alle possibili forme di ospitalità alternativa rispetto a quella formale di agriturismi e B&B, opzioni gradite ad una certa parte di camminatori con materassino e sacco a pelo che, per passare la notte, cercano solo un tetto sulla testa ed un servizio igienico.
Con lui abbiamo definito più tardi anche i dettagli della semplice presentazione del Cammino presso la loro sede, curiosamente ospitata all’interno di un vecchio vagone ferroviario fatto arrivare da non ricordo più dove e posizionato su un vero binario in un incredibile sprazzo di originale creatività.
Ma quello che mi resta come un grande regalo da portare con me alla fine di questa esperienza è proprio la semplice, cordiale e aperta disponibilità a incontrarsi, parlare ed entusiasmarsi per un progetto come il mio, nella speranza che questo possa dare lustro per luce riflessa alla piccola frazione alle porte della città.
Per cui, grazie Francesco, e grazie a tutta la Pro Loco che si fregia dell’altisonante denominazione di “Valle dell’Arno di Fiesole”.
SECONDO GIORNO
Una telefonata a casa, lo zaino da riordinare, le scarpe da allacciare e poi a tavola, per la colazione che consumo facendo due chiacchere con il proprietario della struttura dove ho dormito.
Anche con lui ci eravamo già parlati, quando, prima di andare in stampa e pubblicare il sito, avevo fatto un lungo giro di telefonate per interpellare i diversi gestori e domandare il permesso di inserire i loro recapiti così da fornire un’utile informazione in più ai camminatori: “sì, va bene ma…quanto costa”, domanda scontata che poi ho imparato ad anticipare fornendo io già in apertura di conversazione un rassicurante “non costa niente!”.
“Bella questa tua iniziativa, speriamo che funzioni. Ogni tanto da qui passa già qualcuno, a volte perché stanno facendo la Via di Francesco oppure perché hanno fatto una deviazione dalla Via degli Dei…Il problema è fornire ospitalità per una sola notte, specialmente in alta stagione”.
Già, questo ormai l’ho capito: il tallone d’Achille di tutto il progetto, il fattore che ad oggi potrebbe risultare davvero limitante è proprio questo, la scarsità di strutture ricettive, convenzionali e non.
Ma se solo si riuscisse a partire, ad accendere una piccola scintilla di interesse intorno a questo Cammino, allora il gioco sarebbe fatto e potrebbe iniziare quel circolo virtuoso che ha già risvegliato interessi e microeconomie in tante zone in giro per l’Italia, spesso molto più remote che però, ad un tratto, si sono trovate ad essere protagoniste di altri Cammini.
Ok, speriamo: un cordiale saluto e riparto.
Oggi mi aspetta la tappa più lunga con i suoi 26 Km che mi porteranno sulle prime pendici del Pratomagno dopo un lungo tratto caratterizzato dai vigneti.
La Villa delle Falle, l’arrivo a Le Sieci, la Pieve di San Romolo, la prima di una lunga serie che verrà, e poi, appunto, la ciclopedonale che correndo ai piedi di ampi vigneti, fa davvero dimenticare il piccolo fastidio dei treni locali che scorrono poco distanti, sonnacchiosi pendolari tra Firenze e la sua vasta campagna.
In breve arrivo così a Pontassieve, cittadina e non più paese, il cui Corso invita al secondo e ultimo caffè della giornata, prima di attraversare il Ponte Mediceo e iniziare così la risalita della collina di Nipozzano per la definitiva immersione in quella campagna che mi farà compagnia fino alle porte di Arezzo.
Dal Castello l’estensione dei vigneti appare in tutta la sua vastità: dopo settimane particolarmente piovose sono ancor più del solito “vestiti a festa”, di quel verde brillante, fresco e giovane tipico della primavera e che può trovare piena espressione in una sola parola, vita!
I vigneti sono un ambiente così lontano dal naturale: monocoltura, geometria, attenzioni, cure,.., perfino coccole, se necessario.
Eppure, evidentemente, il nostro cervello percepisce quel particolare ordine come qualcosa di rassicurante, di estremamente gradevole.
Un paesaggio costruito che però, effettivamente, trasmette bellezza, abbondanza, piacere e una sapienza antica che ci porta indietro alle nostre origini più remote, seppur affinata nei secoli in ogni dettaglio fino alle eccellenze di oggi.
A fare da contraltare, ancora oliveti, piccole lame di bosco e, ancora una volta, un orizzonte lontano verso il quale lo sguardo si lascia andare, perdendosi inevitabilmente.
È così, tagliando o costeggiando infiniti vigneti, che arrivo a Diacceto, attraverso la Statale e,…oplà, eccomi ufficialmente a calcare il Pratomagno.
In realtà, lo so bene, ho camminato sul Pratomagno già fino ad ora, dal momento stesso in cui ho lasciato Pontassieve ma, nonostante ragionamenti ponderati e logiche rigorose di tipo strettamente orografico, c’è poco da fare: nell’accezione comune e indiscutibilmente accettata, il Pratomagno nasce al Passo della Consuma, al culmine della strada che, appunto, ho appena attraversato e che quindi ne costituisce un confine chiaro, netto, tangibile.
La canonica della piccola chiesa di San Lorenzo a Diacceto, pare ospitare un gruppo di immigrati asiatici: infradito, panni stesi, un’aria annoiata, anzi, quasi rassegnata: forse non mi vedono nemmeno passare, ma io provo lo stesso un po' di disagio per il mio camminare per puro piacere, sfilando davanti a loro che, per arrivare fin qui, avranno camminato certo molto più di me, tra paure e speranze, rischi e delusioni.
Quasi quasi mi verrebbe da accennare una sosta, quasi una finta per vedere se hanno voglia di attaccare discorso ma poi vado oltre, non so se più per imbarazzo o per rispettare la loro dignità.
Via della Chiesa è un nastro di asfalto stretto stretto dove a malapena ci passerebbe una macchina, se solo ci fosse; già, infatti, perché da Diacceto a Pelago non incrocio niente e nessuno e mi godo appieno il colpo d’occhio quando, al culmine della salitella di Poggio Sano, si aprono nuovi scenari sulla Valle del Vicano, dominata appunto dall’abitato di Pelago.
L’ora di pranzo è già passata da un po' e finora ho tenuto a bada la fame con un paio di barrette ma che diamine! Non sono mica ai lavori forzati!
E allora, prima di entrare nel Castello che fu dei Conti Guidi, a lungo sanguigni e bellicosi signori del Pratomagno e non solo, mi concedo una “corroborante” pausa all’ingresso del paese, in compagnia di un classico tagliere toscano innaffiato però – e temo che se la siano presa molto – da una tradizionale media chiara anziché da un robusto rosso come tradizione comanda.
Difficile rialzarsi sotto questo tiepido sole del pomeriggio ma manca ancora un’ora abbondante ed è tempo di ripartire. Giusto il tempo di uno scambio di battute con il gestore, incuriosito appunto dal mio abbigliamento e dal grande zaino che non lascia molto spazio ai dubbi.
“Di dove sei?” mi chiede, e sicuramente si sarebbe atteso una risposta un po' più “esotica” di un banale “Di Reggello”, sostanzialmente a un tiro di schioppo da qui.
Ma non gli lascio il tempo di replicare, spiegandogli con pochi e sintetici dettagli che cosa sto facendo e quindi il motivo della mia presenza lì.
“Dormi qui a Pelago?”
“No, vado ancora avanti, devo arrivare a Fontisterni, ma penso che se il Cammino dovesse funzionare, tanti si fermeranno anche qui; i Camminatori seguono una traccia, ma poi molti la gestiscono a loro immagine e somiglianza, articolando le tappe secondo le loro necessità e il tempo a disposizione. Comunque grazie: la birra mi ha davvero rimesso al mondo!”
Mi guarda un attimo e poi… “Bello, però mi farebbe una fatica…!”
Bene: Piazza Ghiberti, il Castello, Via del Ponte Vecchio, pochi metri di provinciale e poi a destra, lungo la bella sterrata “marcata” con i segnali del CAI 16.
Mi piacciono le case abbandonate, le porte sbilenche, di legno logoro e sbiadito, le finestre aperte con i vetri rotti, i rampicanti che coprono i muri o i cespugli che spuntano dai tetti sfondati.
E in questo breve tratto di campagna ce n’è più di una di queste situazioni, fino ad arrivare al Castello di Altomena dove, per la prima volta, mi affaccio sulla valle dell’Arno.
A fare da quinta, finora, lo sfondo diametralmente opposto a quello del mattino, con i vigneti di Nipozzano muti e allineati laggiù, in lontananza.
Manca davvero poco, adesso: attraversata la strada che scende da Paterno a Carbonile, un ultimo tratto di sterrato discende deciso e in breve mi porta a Fontisterni.
Anche qui, come a Compiobbi, il copione si è ripetuto ma questa volta l’interlocutore non è la Pro Loco.
No, troppo piccola, minuscola, la frazione pelaghese per poter contare su questo tipo di sodalizio.
No, niente Pro Loco ma una piccola associazione: Fontisterni 22 (non l’ho mai chiesto ma forse il numero sta a indicare l’anno in cui si è costituita, chissà…).
La sua sede è nei locali adiacenti la piccola chiesa di San Lorenzo dove ormai, come capita in tante altre situazioni, il parroco capita solo una volta ogni tanto.
Anche qui mi sono sentito… accolto, ascoltato, supportato.
Certo, entro i limiti propri della piccola comunità, ma comunque aiutato e questo è l’importante.
Anche qui il mio referente privilegiato è ancora un Francesco ma purtroppo, e lo comprendo bene, il suo supporto non può spingersi oltre un certo limite perché i locali di cui l’Associazione dispone, oggettivamente non consentono al momento di assicurare quell’ospitalità alternativa che sto cercando di individuare e suggerire alla fine di ogni tappa.
Meno male che, nonostante le piccole dimensioni di questo luogo che sembra lontano da tutto e da tutti, ci sono già tre o quattro strutture ricettive e meno male che, “appena” due chilometri più in là, a Donnini, Don Duccio, conosciuto solo per telefono, ha inaspettatamente concesso il suo nulla osta affinchè i camminatori possano sistemarsi nei locali parrocchiali.
Una piacevolissima cena con i proprietari della piccola colonica adibita a B&B segna la fine di questa seconda giornata che, idealmente, se ne va via proprio così come l’ho descritta nella guida, “…tra il frinire dei grilli o il gracidare delle rane; tra lo squittio della civetta o… l’ululato del lupo!”
P.S. - i lupi non li ho sentiti, ma non importa: so che ci sono, e questo mi basta!
Continua……
TERZO GIORNO
Stanotte ha piovuto ma la mattina sembra promettere ancora una bella giornata, ottima per affrontare il percorso fino a Pian di Scò.
In realtà questa volta, “giocando” praticamente in casa, arriverò ovviamente a fine tappa ma poi mi farò venire a prendere da Laura per trascorrere la notte a casa, anche perché stasera arrivano i miei “cugini” dal Piemonte e da domani non sarò più solo fino ad Arezzo.
Ma andiamo con ordine…
Un saluto, perfino un cordiale abbraccio con chi mi ha ospitato per la notte e la promessa di rivedersi presto, in occasione della semplice presentazione che ho appunto chiesto a Francesco di poter tenere qui a Fontisterni, come in ciascuno degli altri punti tappa: insomma, al più tardi ci incontreremo di nuovo tra un mese o giù di lì.
Oggi gioco in casa, dicevo.
Già, perché queste strade e questi sentieri li ho già percorsi in lungo e in largo tante e tante volte, per lo più in bici, ma oggi voglio viverli come se li vedessi per la prima volta, soffermandomi su quei particolari che come capita spesso non riusciamo a cogliere proprio perché li abbiamo lì, davanti agli occhi tutti i giorni.
I due chilometri fino a Donnini sono in buona parte in salita, ripida, ma la placida tranquillità del contesto mi assorbe in pensieri e quasi non mi accorgo di essere arrivato in Piazza Fiaschi, dove avevo già programmato una breve sosta per il secondo caffè, sperando di incontrare il mio vecchio collega Luigi, per gli amici Ringo, per quel suo parlare ed incedere con filosofica lentezza, da… messicano, insomma.
E, inevitabilmente, ecco che Ringo arriva, leggermente ciondolante e mi fa compagnia ad uno dei tavolini esterni dove quindi la pausa va un po' più per le lunghe, tra i ricordi condivisi e la sua curiosità per il mio progetto.
“Ciao, Ringo. Mi raccomando: provalo questo Cammino, almeno la prima tappa…”
La Pieve di Pitiana, il tuffo definitivo tra gli oliveti mentre salgo sulle colline per portarmi lontano dalla strada principale, la discesa verso San Donato e poi ancora un po' più giù, in questa campagna che potrei percorrere ad occhi chiusi ma di cui mi sforzo di valutarne l’oggettiva bellezza con occhi altrui.
Arrivato alla Fattoria degli Ulivi so di essere non distante dal Castello di Sammezzano, sulla sua “verticale”: finalmente, dopo anni di abbandono, incertezza e progressivo, lento degrado, la sua vendita all’asta ha avuto esito positivo e così – almeno promettono i nuovi proprietari – l’immobile ed il vasto parco circostante torneranno progressivamente ai loro fasti e, più che altro, saranno resi nuovamente visitabili per suscitare il meravigliato stupore che hanno suscitato in me quando ne ho avuta l’occasione.
Raggiunto il Castello dei Bonsi, uno dei fiori all’occhiello dell’olivicoltura dell’intero Pratomagno, raggiungere la Chiesa di Sant’Agata in Arfoli è un attimo mentre più di un attimo è quello che riservo ancora una volta al vasto, verdeggiante panorama che dal suo sagrato abbraccia larga parte del Valdarno.
Reggello è ormai vicina così come l’ora di pranzo.
Mi affretto quindi un po' nello scendere verso Cancelli e raggiungere così il capoluogo comunale dove ho programmato la mia sosta.
Reggello: il “mio” paese ormai da 25 anni, il paese in cui sono arrivato con Laura, in cui sono nati e cresciuti i miei figli, Sofia e Francesco, il paese in cui abbiamo cucito tanti rapporti umani e che è e resterà comunque un pezzo importante della nostra vita, forse il più importante anche se ormai molti ricordi cominciano a sfumare, portati via e sepolti da nuovi impegni e da nuove attese che nemmeno io so perfettamente definire e intravedere.
Per la pausa pranzo… bar della Foffa!
In realtà la Foffa ci ha lasciati da un po', così come il fratello, Foffo ma non c’è niente da fare, il bar continuerà in eterno a chiamarsi così, anche se adesso a gestirlo c’è il di lei figlio: come si chiama? Beh, semplice, Foffino!
E al bar della Foffa, come mi aspettavo, incontro Fagiolo, al secolo Valerio Bigi, sanguigno, irascibile, instancabile ex podista – come me – oggi pensionato – io ancora no – compagno di tante “battaglie” con le scarpette ai piedi e con un’inesauribile passione coltivata per decenni.
La sua compagnia durante la pausa è quindi inevitabile e anzi non nascondo di essermi fermato qui proprio nella speranza di incontrarlo.
Mi domanda cosa sto facendo e io provo a spiegarglielo, ben sapendo che Valerio, ops, Fagiolo, è una di quelle persone che molto parlano e poco ascoltano, non per cattiveria, maleducazione o disinteresse, ma perché semplicemente sono fatte così.
Concetti chiari e concisi, allora: “Sono partito da Firenze e in sei giorni arriverò a piedi a Arezzo. Ora sono circa a metà percorso e…” niente da fare, evidentemente mi sono già dilungato troppo “Grande!” mi interrompe, per poi proseguire con “ma i figlioli icchè fanno ora?.... bellino i’ tu’ ragazzo…mi saluta sempre…Valerioooo!! E la figliola? Che ganza! Da quant’è che un tu’ vvedi Giancarlo? Che conigliolo che gliè!...”
Vabbè, ciao Valerio, ora devo proprio ripartire!
Alla Pieve di San Pietro a Cascia sono proprio a casa mia, non più di 300 metri.
Mi avrebbe fatto piacere incontrare sia il vecchio Don Ottavio Failli, per tutti Donfa, nato e vissuto qui, per 60 anni anima di tutta la comunità, a prescindere da fede e politica, oppure il giovane Don Samuele, bergamasco “piovuto” qui pochi anni fa e che sta dando tanto a tutta la comunità, a prescindere da fede e politica…
Ma l’ora del primo pomeriggio spesso non è la migliore per fare incontri e allora via, sfilando lungo l’abside della Pieve per scendere al corso del Resco e risalire a Tallini.
Chissà dove passava davvero la strada romana, quella Cassia Vetus rispetto alla quale, insieme ad altri elementi, questo Cammino ha trovato motivo di ispirazione, ma poco importa: tra asfalto e strada bianca la scelta non si pone nemmeno!
Scorrendo sotto Villa Mandri mi porto così non lontano da Pian di Scò, giusto il tempo di percorrere un ultimo Km sulla strada principale e anche questa tappa è conclusa!
Mentre aspetto che Laura arrivi per recuperarmi, mi godo l’austero chiaroscuro dell’interno della Pieve e traccio un bilancio di questa prima metà del Cammino, un bilancio per me largamente positivo.
Una doccia, una sistemata allo zaino e poi via, i miei “cugini” stanno arrivando!
Paolo, Luigi, Elena e una coppia di suoi amici, Gianni e Simonetta, per me nuove conoscenze.
Eccola qua l’allegra e improvvista combriccola che percorrerà insieme le tre tappe che arriveranno fino ad Arezzo.
Peccato che non abbiano avuto la possibilità di unirsi a me fin dall’inizio ma non importa: la loro presenza, in particolare quella di Paolo e Luigi a cui sono da sempre legato da un affetto fraterno, è un grande regalo per cui… consegna ufficiale di una copia della guida con firma svolazzante del sottoscritto, pizzettona gigante ai Laghi della Tranquillità, due birre medie d’ordinanza, caffè, grappino e poi via, a letto: per domattina l’appuntamento è fissato alle 7.30 al bar della Pieve per la colazione.
Continua……
QUARTO GIORNO
Eccolo il Donfa!
Novant’anni (o quasi) e non sentirli (o quasi).
Una volta consumata la colazione, infatti, e prima di raggiungere in auto Pian di Scò per la partenza ufficiale della quarta tappa, il Donfa lo troviamo seduto su una panca all’interno di quella Pieve che non potevo non far ammirare al resto del gruppo come doverosa prefazione.
Quella Pieve che lui ama intensamente, di cui conosce dettagli e segreti e presso la quale ha voluto fosse istituito il Museo d’Arte Sacra per conservare, tra molti altri tesori, quello più prezioso, quel Trittico del Masaccio rinvenuto casualmente nella vicina chiesetta di San Giovenale, suo luogo natìo.
Si appassiona subito quando viene a conoscere il motivo della nostra presenza lì e ci raccomanda, con dovizia di particolari, di soffermarsi sulle bellezze e le singolarità delle Pievi che incontreremo più avanti.
Raggiunto Pian di Scò ecco un altro piacevole incontro: oggi è infatti il 25 Aprile, Anniversario della Liberazione ed anche qui, come in molti altri luoghi, gli eventi di quei giorni vengono rievocati e rivissuti anche con escursioni che seguono i cosiddetti “luoghi della memoria”.
Ecco allora che, nel parcheggio dove fermiamo le nostre macchine, un nutrito gruppo di uomini e donne di ogni età si sta preparando alla giornata che culminerà “in gloria” con grigliata e musica all’aperto.
Alla testa del gruppo, Ilaria, la presidentessa della Pro Loco che mi fornito subito il suo supporto quando, ormai mesi fa, l’ho chiamata per illustrare il mio progetto.
Forse anche lei non credeva fino in fondo che la cosa si sarebbe ma, nonostante questo, non ha avuto esitazioni nel mettere a disposizioni degli spazi per i camminatori…da sacco a pelo.
“Ciao, Ilaria, grazie di nuovo e buona giornata! Ci vediamo la prossima settimana per la presentazione!”
Allora, ricapitolando: sulla tenuta di Luigi non ho dubbi, idem per Laura, nonostante uno zaino in cui sembra avere infilato un’intera collezione primavera-estate, Elena mi sembra motivata alla grande, Gianni e Simonetta mi ispirano fiducia mentre Paolo…beh, staremo a vedere ma non gli nascondo qualche perplessità.
“Allora, Paolino, purtroppo la quarta tappa è la più dura e comincia proprio con una salita per cui, prenditela comoda, passo regolare e…speriamo bene”.
Mi risponde con un grugnito sommesso ed è così che comincia il nostro Cammino insieme.
La salita verso Pulicciano è resa più impegnativa da un cielo basso, che raggruma umidità e fa grondare di sudore.
Ma sono solo le prime difficoltà e passano senza lasciare troppi strascichi.
Pulicciano! Ricordo bene quando, diversi anni fa, accompagnai qui un gruppo di turisti americani che avevano prenotato un tour primaverile sulle strade del giaggiolo, la tipica coltura di questa piccola porzione del Pratomagno.
Era un sabato pomeriggio e ancora, seguendo un’antica usanza, le “nonne” della frazione si stavano recando al lavatoio pubblico con i loro panni per condividere così la fastidiosa incombenza tra una chiacchera e l’altra.
Per il mio gruppo di americani fu come aver visto la cosa più meravigliosa, incredibile, suggestiva ed emozionante del mondo e vollero fare decine di foto alle attempate lavanderine che ben si prestarono al gioco, fra un pizzico di vergogna ed un bel po' di incredulo divertimento rispetto a “quei tipi” che trovavano così… wonderful! …una cosa per loro del tutto normale e tutt’altro che esaltante.
Da Pulicciano giù in discesa per i prossimi tre Km che, dopo averci fatto sfilare accanto alla Badia di Soffena una prima volta, ci portano dentro al reticolo murato di Castelfranco di Sopra.
In questa giornata di festa, la piazza dell’antico borgo è animata da piccolo ma vivace mercatino dell’antiquariato ed allora… giro libero!
C’è tra noi chi si fa un tramezzino, chi un caffè e chi – Gianni – si mette alla ricerca di qualcosa da comprare: tornerà poco dopo, soddisfatto e “vittorioso” mostrando come un trofeo una piastra lisciacapelli ante litteram, un attrezzo che evidentemente andava scaldato preventivamente e più volte nel carbone prima di essere utilizzato allo scopo.
In testa Gianni ora porta anche un improbabile copricapo ornamentale tipo danzatrice del ventre o giù di lì, omaggio, dice per l’acquisto appena fatto: andiamo bene! Meglio ripartire!
E allora giù, lungo il sentiero dell’Acqua zolfina e l’immancabile stupore quando, giunti alle Riguzze, si viene letteralmente avvolti dalla magia e dalla suggestione delle Balze e poi di nuovo, quando raggiunta Piantravigne lo spettacolare affaccio su questa meraviglia geologica lascia davvero per un attimo senza fiato.
Sono passati pochi Km, ma il gruppo mi sembra che vada avanti tranquillo, anche se ora (vero, Paolino?) viene il bello per i meno allenati.
Direzione Odina, massima pendenza per i prossimi 45 minuti.
Qualcuno arranca un po', grondando sudore per l’umidità crescente e un po' di preoccupazione per le colonne d’acqua all’orizzonte che sembrano avvicinarsi minacciose ma proprio sul più bello (anzi, sul più brutto) quando ormai i primi goccioloni punteggiano la strada tra rombi di tuoni, arriviamo provvidenzialmente in corrispondenza di un agriturismo dove decine di avventori sono intenti a consumare il pranzo della festa.
Sudati, già un po' bagnati e affardellati dai nostri zaini che ci rendono così poco “consoni” al contesto, chiediamo ospitalità sicuri di un rifiuto o, nel migliore dei casi, di essere relegati magari sul retro, tipo pollaio o simili.
E invece no: “Certo, entrate pure, mettetevi lì in veranda… se poi volete qualcosa chiedete pure…” e allora che fai? Non chiedi?
Anzi, poiché pare che il gruppo sia abbastanza godereccio…tagliere di salumi e formaggi e un fiascotto di vino rosso per ingannare l’attesa, mentre l’acqua scoscia copiosa, formando rivoli veloci sul vetro della veranda affacciata sulla valle.
Il temporale è passato, l’aria si è rinfrescata ed il cielo è finalmente pulito con ampi sprazzi di azzurro intenso; giusto il tempo di pagare la consumazione, ringraziare per la gentile accoglienza e di nuovo in marcia, per l’ultimo tratto prima dello scollino che raggiungiamo di lì a breve,
Ormai è fatta e Paolo, a cui la sosta-merenda sembra aver fatto particolarmente bene, viaggia spedito lungo il continuo, successivo saliscendi che ci porterà fin sulla verticale di Loro.
Il borgo appare all’improvviso, laggiù, abbarbicato sulle sponde del nervoso Ciuffenna lungo le quali oggi troviamo un altro mercatino, anzi, la famosa Sagra della trota.
Arrivati nel clima festose del paese, contatto la signora che gestisce i due appartamenti dove trascorreremo la notte: “Ci siamo” le dico “però se va bene ci fermiamo un po' qui in paese”… “Certo, a più tardi, quando volete”.
E qui, in paese, quando capisco di trovarmi vicino ad un anziano del posto, chiedo indicazioni per un dettaglio sulla tappa di domani, rispetto alla quale vorrei capire se ci possono essere varianti rispetto al camminare sulla Setteponti per circa 30-40 minuti.
Ecco, la discussione inevitabilmente si accende e coinvolge altri lì intorno: “Dovete passare del Bruco…” “No, macchè? Ma dove li fai andare? Lì ormai il sentiero è chiuso…” “Sennò potete andare giù al mulino – avete presente?...” (in realtà no!) e così via.
“Ok, non importa…” ma il nostro tentativo di far cessare il dibattito si perde nel nulla e le loro voci si affievoliscono, confondendosi ai rumori della festa, mentre ci avviamo a raggiungere le nostre sistemazioni per farci una doccia.
Continua…
QUINTO GIORNO
“La bocca porta le gambe!”: così diceva sempre mia nonna Gina.
E siccome ci ha lasciati all’età di 102 anni, allora mi sa che c’è da crederci davvero e fare tesoro della sua raccomandazione!
Sia come sia, ieri sera ci siamo regalati una cena davvero degna di nota, stamattina una colazione al bar affacciato sul Ciuffenna e sull’antico mulino e poi, appena superato il piccolo dedalo che costituisce il cuore di Loro, una sosta al forno dove, fra schiacciate e pizze, concludiamo questo trittico mangereccio e ci mettiamo al sicuro anche per il pranzo.
La salita a Gropina è costante, breve e piacevole, ma ancor più la vista della Pieve di San Pietro: per i nostri compagni di Cammino l’inevitabile “Wow!”, per me e Laura la solita emozione che conferma ancora una volta l’incontro con un qualcosa che, in ogni occasione, non esito a definire come “magnetico”, non trovando altra espressione più calzante ed efficace.
La luce che penetra dalle strette aperture dell’abside, la leggerezza dei suoi capitelli, la misteriosa simbologia dei bassorilievi delle colonne, la meraviglia dell’intreccio che sorregge il pulpito: questi, in estrema sintesi, gli elementi che colpiscono chiunque entri, anche il meno incline o avvezzo ad apprezzare le meraviglie dell’arte ed il linguaggio attraverso cui ci parla.
All’uscita, il rapido incrocio con due ragazze impegnate lungo la tre giorni del Cammino della Setteponti ci riporta alla realtà e iniziamo così a discendere verso il tracciato stradale.
Ci aspettano tre chilometri di asfalto ma una variante “sentieristica” è già pronta, consentendo di ridurre ad un terzo questo tratto; il percorso ufficiale rimarrà però invariato, giusto “tributo” a chi vorrà percorrere il Cammino in bici e dovrà quindi mantenersi su un percorso ciclabile.
Il cartello per l’Osteria dell’Acquolina segna per noi la svolta verso un’altra piccola perla paesaggistica, uno di quei contesti che l’orografia del territorio, la rete viaria, il caso e la fortuna hanno mantenuto isolati dal resto del mondo.
Siamo nella Val d’Ascione e noi inanelleremo tre minuscole realtà in una sequenza che, a pronunciarla ad alta voce, trasmette un senso di musicale armonia: ecco, quindi, Traiana – di antica memoria romana – Comugni – un pugno di case ed ancor meno abitanti – ed infine Campogialli – uno dei tanti antichi castelli che raccontano guerresche e medievali vicende tra le contrapposte città di Firenze e Arezzo.
Oggi, invece, gli elementi più importanti di Campogialli sono altri.
Il primo è l'Oratorio di Santa Maria in Campo Arsiccio che conserva un importantissimo ciclo di affreschi e che, dopo essere stato perfino destinato a stalla, è stato recentemente restaurato e restituito in alcune occasioni alla visita.
Il secondo è il bar-alimentari Fiore.
Sì, perché Fiore è una di quelle botteghe che, da sole, ti tengono su un paese intero; una di quelle botteghe un po' così, con l’arredamento retrò per necessità più che per scelta, quelle botteghe che dovrebbero ricevere un contributo per rimanere aperte.
E la Silvana, la “gestora” di Fiore con la sua famiglia, ti accoglie con semplice cordialità, ti domanda da dove vieni e dove vai e poi ti dice “mettetevi qui fuori ai tavolini a mangiare il panino, se poi volete qualcosa da bere…”.
Ai tavolini, accanto a noi, una coppa di olandesi di mezza età, capitati a Campogialli chissà come (ma del resto lo sappiamo, gli stranieri sono spesso più “bravi” di noi a fare i turisti) e che, come Silvana, chiedono conto dei nostri grandi zaini.
Un caffè, un provvidenziale pit stop in bagno e siamo a posto: “Grazie, Silvana: non mollare!”
E così ripartiamo!
Una breve salita, il tempo di toccare ancora un attimo la Setteponti sfiorando appena il paese di San Giustino e poi di nuovo giù, verso uno dei luoghi più noti di tutto il Valdarno.
Già, infatti al Borro ci hanno proprio saputo fare: campo da golf, eleganti maneggi, perfino una pista di atterraggio per piccoli aerei e poi il lusso del resort.
Tutto, però, senza negare a noi comuni mortali il piacere ed il fascino di un giro fra le viuzze e le botteghe dell’antico borgo trasformato in luogo di ospitalità diffusa e dove si torna inevitabilmente un po' bambini, con il presepe e le scene di Pinocchio, tutti rigorosamente animati da ingegnosi seppur rudimentali meccanismi.
Ma siccome il Borro si chiama Borro, allora come per ogni borro che si rispetti bisogna scendere ancora.
Dove? Nel borro, appunto!
Quindi giù ancora un po' e poi di nuovo a recuperare quota con una salita morbida morbida che ci accompagna verso un pianoro placido placido.
Ormai Castiglion Fibocchi è in vista.
Lì trascorreremo la notte, in un piccolo agriturismo poco fuori paese.
Ma siccome… “La bocca porta le gambe!”… appena il tempo di posare gli zaini in camera e via, a fare la spesa nel piccolo supermarket poco distante.
L’ospitalità prevede infatti l’uso della cucina e quindi… spaghetti aglio, olio e peperoncino, fettunta, pecorino e salame… così, per stare leggeri!
A dare il giusto tocco alla serata, qualche bottiglia di vino bio (buono) prodotto proprio in azienda e un goccetto di grappa che ci accompagna per mano fino al letto.
Continua…
SESTO GIORNO
Peccato!
Peccato perché questo Cammino sta arrivando al termine per me che l’ho percorso per intero.
Peccato perché il gruppo che si è formato l’altro giorno unendosi a me a metà percorso sta funzionando proprio bene e sarebbe bello stare insieme ancora un pò: Paolo ha preso fiducia e ogni tanto allunga addirittura il passo, Luigi parla, chiede e si informa come suo solito, Elena, Gianni e Simonetta progettano, propongono, suggeriscono cammini futuri da fare insieme, e infine Laura, nonostante lamenti qualche problema per lo zaino eccessivamente carico, si conferma un’ottima e appassionata camminatrice.
Eccoci qua, dunque, per l’ultima tappa, la più breve, quelle che ci porterà dentro le mura di Arezzo dandoci il senso della…”missione compiuta”.
Ma andiamo con ordine.
“Anch’io sono uno scrittore…piacere!...Dario”
E questo da dove salta fuori?
Siamo al bar di Castiglion Fibocchi per un caffè e per dare inizio alla tappa dal suo avvio ufficiale e, mentre mi sto allacciando una scarpa, salta fuori un signore anziano ma ancora in forma e, più che altro, di immediata cordialità.
Poco lontano vedo Luigi con un sorrisetto divertito: capisco, deve essere stato lui a raccontare il senso della nostra presenza lì, che stiamo percorrendo un nuovo Cammino, il Giglio e la Chimera e che io sono “nientepopodimenoche” l’autore della guida che lo racconta.
Non poteva evitare? Evidentemente no!
Dario comunque è piuttosto vulcanico e racconta di essere il “poeta” ufficiale del Carnevale dei Figli di Bocco, bellissima manifestazione che anima di oltre 100 figuranti in sfavillanti costumi le vie del borgo.
In effetti lo ricollego subito agli scritti che, appesi di tanto in tanto ai muri delle case, raccontano in rima o in prosa origini e storia di questo Carnevale davvero unico, sicuramente da vedere.
“Piacere mio Dario, però…ecco…no, non sono uno scrittore, sono semplicemente uno che racconta itinerari a piedi, comunque fra un paio di settimane sarò qui a presentare la guida. Sai, sono in contatto con la Pro Loco, se vieni mi fa piacere” “Ci sarò, contaci!”
E così, in leggera discesa, prende il via la nostra ultima e modesta fatica, questi 18 chilometri da farsi tutti d’un fiato per arrivare a destinazione per l’ora di pranzo.
Il Pratomagno è ormai alle spalle, il rilievo si rilassa, si distende e preannuncia la pianura che più avanti si allargherà, diventando Valdichiana.
Una vigna che appare e scompare nella foschia del mattino, un albero isolato dalla perfetta simmetria, l’ovattato fischio del treno che non disturba, anzi, sembra anche lui farsi natura, ambiente, paesaggio e infine il piccolo cimitero di campagna che introduce alla Cittadella della Pace di Rondine, immancabile punto di passaggio per il significato che nel tempo questo luogo ha assunto, per il costante e caparbio impegno nella ricerca del bene più grande, così di là dall’essere anche solo sfiorato.
Per noi camminatori sarebbe bello, da Rondine, poter seguire i sentieri interni all’area protetta di Ponte Buriano e Penna per raggiungere appunto Buriano ma purtroppo le condizioni del sentiero ormai da tempo non consentono più in alcun modo di affrontarlo in sicurezza, tutt’altro.
Speriamo che in un futuro non troppo lontano qualcuno ci metta le mani ed allora non dubitate: provvederò immediatamente con una variante.
Per il momento occorre accontentarsi della stradina che porta di nuovo verso la Setteponti e da lì in una decina di minuti, all’iconico Ponte Buriano, da poco, provvidenzialmente, reso pedonale.
Mi porto velocemente avanti rispetto agli altri, supero l’Arno e poi li invito a seguirmi mentre con il cellulare registro un breve video che andrà ad aggiungersi agli altri che accompagneranno la mia prossima presenza presso un’emittente televisiva a livello regionale dove mi hanno invitato per parlare del Cammino.
La ciclabile lungo fiume ci porta fino ad un argine secondario e da lì fino a Quarata, ultimo castello incontrato lungo il Cammino, posto quasi alle porte di Arezzo.
Secondo caffè della giornata presso il circolino del paese, anzi, presso il “Centro di Aggregazione Sociale – Società Operaia Quarata”: che dire? Meraviglioso!
Da Quarata si intravede il colle aretino ma per raggiungerlo dovremo ancora zigzagare, evitando così la strada principale a tutto vantaggio di vie e viuzze che intersecano la campagna in pratica fino al cartello “AREZZO” che delimita l’ambito urbano della città.
Un paio di chilometri, non lo nego, vengono qui a disturbare i 130 ormai alle spalle perché un po' di traffico e la mancanza di un marciapiede ci obbligano alla fila indiana e al passo affrettato ma fortunatamente, all’altezza del centro commerciale, piste ciclabili e marciapiedi ci prendono di nuovo per mano, accompagnandoci così a Porta San Clemente.
Ecco le mura, ecco la foto di gruppo, ecco gli ultimi passi: il Duomo, il Palazzo dei Priori, Via Cesalpino, con la (presunta) casa di Guido Monaco, Santa Maria della Pieve,…Piazza Grande!!
Il Cammino è finito!
Ci mettiamo al centro della Piazza, tutti all’interno del cerchio che interrompe la regolarità della pavimentazione in cotto e…immancabile foto di gruppo.
Un pranzo veloce (ma nemmeno troppo) ci separa dal rientro in treno alla stazione di Figline.
“Grazie…E’ stato davvero bello!...Lo rifacciamo?...”
Ci salutiamo così, con l’impegno di trovare un Cammino in Piemonte da fare in un fine settimana lungo ma poi scappano in fretta perché la strada per il rientro per loro è lunga.
Per me e Laura, invece, solo dieci minuti per rientrare a casa.
Il Cammino è finito!
Tempo di bilanci e di riflessioni, di dubbi e conferme, allora,...ma forse anche no, troppo presto per essere obiettivi e lucidi.
E allora solo due sensazioni a caldo: mi piace e può funzionare!
Per ora, quindi, sono felice e soddisfatto poi ci sarà tempo,...forse domani, chissà?...